lunedì 24 aprile 2017

Primarie PD del 30 Aprile - Prepariamoci!


Domenica 30 aprile si terranno le Primarie del Partito Democratico, indette per eleggere il nuovo segretario e l'Assemblea Nazionale. I seggi saranno aperti dalle ore 8 alle ore 20 e potranno votare tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto 16 anni e tutti i cittadini dell'Unione Europea e di altri Paesi residenti in Italia che dichiarino di riconoscersi nella proposta politica del Pd.




Per quanti intendono votare, ma non sono iscritti alle liste elettorali (giovani fra i 16 e i 18 anni, cittadini Ue residenti in Italia, cittadini di altri Paesi in possesso di permesso di soggiorno o della ricevuta con richiesta di rinnovo), sarà obbligatorio registrarsi online entro le ore 12 di giovedì 27 aprile sul sito primariepd2017.it. La pre-registrazione è inoltre obbligatoria per quanti decideranno di votare in una provincia diversa da quella di residenza.



La sezione elettorale ad Alberobello è in via De Amicis n.6, al circolo del PD e dei GD di Alberobello. Per votare sarà obbligatorio presentarsi al seggio con un documento d'identità e la tessera elettorale, oltre a versare un contributo di 2 euro se non iscritti al Pd. Per chi voterà fuori sede o non è iscritto nelle liste elettorali, sarà obbligatorio presentarsi al seggio con un documento d'identità (o il permesso di soggiorno) insieme al modulo stampato della pre-registrazione effettuata online.

martedì 3 gennaio 2017

Giustizialisti si nasce, garantisti si diventa

ImmagineGiustizialisti col culo degli altri. Duro ma giusto, direbbe qualcuno. 

Ebbene, è proprio questo quello che ho pensato non appena ho letto l’articolo sul blog dalle cinque stelle; questo riguarda un nuovo codice di comportamento per gli amministratori grillini. Nessuna espulsione immediata, volendo sintetizzare il tutto, in caso di avviso di garanzia. A meno di un comportamento oggettivamente compromettente per se stesso o per il movimento. In ogni caso tutto passa al vaglio della figura di garanzia, in questo caso Grillo. 

Sia chiaro: nessuno mette in dubbio la scelta politica, dato che la considero ovvia e frutto di un cambiamento del movimento che doveva, volente o nolente, sopraggiungere. È ciò che accade quando un movimento si responsabilizza, si istituzionalizza e “normalizza”, adattandosi alle altre forze politiche.  

Cos'è rimasto del Movimento 5 Stelle ortodosso dei primi anni? Non dovrei essere io a rispondere, ma la domanda giunge spontanea. Lo spirito tipico di un movimento di protesta, però, si sta oggettivamente sgretolando. Avvicinandosi alle istituzioni, ricoprendo cariche politiche più o meno importanti, si è svuotata quella spinta propulsiva dei primi anni. Ora al centro del ciclone ci sono anche loro! 

Se un avviso di garanzia – che sino a qualche tempo fa era un elemento sufficiente per richiedere le dimissioni – raggiunge un esponente politico pentastellato è ovvio ipotizzare un disincanto nei confronti delle retoriche portate avanti sino ad ora. Non esiste più un “voi” e un “noi”; si confondono nella cloaca che loro stessi hanno voluto creare, spesso con toni non di certo istituzionali.  

E allora andiamo avanti riformando internamente il codice di comportamento. Da un momento all'altro si diventa garantisti, quando un momento prima si era giustizialisti convinti. Il tutto passa come un cambiamento meno importante di quel che è realmente, sottoponendolo persino al voto della “rete come se possa cambiare una posizione politica (quella garantista, si intende) evidente e incontrovertibile. 

Un ulteriore pagina nel NON statuto.

Daniele Amatulli

sabato 3 dicembre 2016

Facciamo chiarezza sulle riforme costituzionali



Ormai ci siamo, il referendum costituzionale del 4 dicembre è alle porte, e gli italiani sono chiamati alle urne: da una parte della scheda ci sarà il SI, che propone una riforma della Costituzione, mentre dall’altra ci sarà il NO, per respingere la riforma costituzionale proposta.

Analizziamo ora, attentamente,punto per punto, con l’obiettivo di fare chiarezza, il testo che gli italiani si ritroveranno davanti alle urne.                                                                                                                                    


Il primo punto è quello concernente il “superamento del bicameralismo paritario”. Innanzitutto per una miglior comprensione va chiarita quella che è la struttura del Parlamento italiano: questo è basato su due ‘camere’, la Camera dei Deputati ed il Senato, di pari livello e potere decisionale. Il superamento di questo sistema, appunto chiamato “bicameralismo paritario”, passerà da varie misure adottate nei confronti del Senato e dei senatori; infatti: il Senato NON potrà più votare la fiducia al governo, NON potrà più votare le leggi promosse dallo Stato e soprattutto diventerà la sede di discussione delle politiche locali italiane, in quanto i  nuovi senatori saranno sindaci e consiglieri regionali, opportunamente eletti nei consigli regionali (questi aspetti saranno meglio chiariti più in avanti nell’articolo, quando si parlerà della revisione del Titolo V della parte II della Costituzione).                                                                                                                            Ovviamente il SI con queste misure, dimostra la volontà di creare un Parlamento più snello e con più potere decisionale, che garantisca maggiore stabilità ai governi, affinchè possano governare con meno compromessi.

D’altro canto il NO resta a favore del sistema attuale, basato sul compromesso, che risulta tuttavia spesso cavilloso e controproducente all’azione stessa del governo (che, per inciso, non è MAI stato eletto direttamente dai cittadini. Anche nel nostro attuale ordinamento non è prevista l’elezione della compagine di governo).



I successivi punti di modifica proposti nel referendum, ossia “la riduzione del numero di parlamentari”, il “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” e la “soppressione del CNEL”, rientrano in un ampio progetto di abbattimento dei costi della politica, perseguito ovviamente dal SI.

Infatti, innanzitutto il processo di riduzione delle spese della politica passerà dalla riduzione del numero dei senatori, i quali saranno 100 e non più 315. Ma soprattutto (per quanto riguarda la voce ‘risparmio’) non riceveranno più gli oltre 14.000 € mensili previsti dallo stipendio da senatore, ma manterranno lo stipendio previsto dall’incarico già ricoperto (sindaco o consigliere regionale).   Il NO invece contrasta queste proposte di modifica, richiamandosi principalmente a due tesi:                   -al fatto che i senatori non saranno eletti direttamente dal popolo

-alla situazione delle immunità

Per quanto concerne il primo punto, va detto che questa tesi non è propriamente veritiera, perché i senatori sono comunque già stati eletti dal popolo nei rispettivi incarichi. Ciò legittima, di conseguenza, la rappresentanza verso i propri elettori.

Invece riguardo il discorso delle immunità parlamentari, va innanzitutto chiarito che le preoccupazioni del NO, sono rivolte al fatto che il Senato diventi un comodo ‘parcheggio’ per coloro che detengono processi a loro carico,non ricordandosi purtroppo che attualmente ci sono comunque individui su cui pendono accuse penali.



passiamo ora al più discusso e complesso punto della riforma: la modifica al Titolo V della Costituzione; soffermiamoci pertanto sulla struttura della nostra Costituzione. Questa è formata da 139 articoli e 18 disposizioni transitorie finali. I primi 12 articoli sono dedicati ai “Principi fondamentali della Repubblica”, mentre i restanti si dividono in due parti:

  • Diritti e Doveri dei cittadini”: divisa a sua volta in 4 Titoli (Rapporti Civili, Rapporti etico-sociali, Rapporti economici e Rapporti politici).
  • Ordinamento della Repubblica”: suddivisa in 6 Titoli (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Magistratura, Regioni, le Province, i Comuni, Garanzie Costituzionali).

Quindi, il Titolo V della Costituzione (composto dagli articoli che vanno dal 114 al 133) è quella parte che regola le autonomie delle Regioni e degli enti locali.

Il Titolo V è stato già revisionato nel 2001, sotto il Governo Amato, l’obiettivo della riforma era di riformare lo Stato in senso federalista. Per questo alle Regioni vennero affidate diverse competenze che fino ad allora erano riservate allo Stato.

Tuttavia, la riforma del Titolo V ha lasciato l’onore di far cassa allo Stato poiché non c’è stato un aumento dell’autonomia fiscale delle Regioni. Ciò ha creato non pochi problemi perché alle Regioni è stata data completa autonomia in materia di spesa su moltissime materie potendo decidere persino l’ammontare degli stipendi di consiglieri e degli assessori in carica.

Insomma, alle Regioni e agli enti locali è stata data la possibilità di aumentare le loro spese ma a pagare è comunque lo Stato che deve trovare i fondi necessari.

Pensate che negli anni che vanno dal 2000 al 2010 le Regioni hanno speso in totale 89 miliardi, il 74,6% in più di quanto fatto nel decennio precedente. Gli analisti concordano sul fatto che questa crescita è imputabile al nuovo ruolo istituzionale assunto dalle Regioni e dagli Enti Locali in seguito alla Riforma del Titolo V della Costituzione.

Per questo motivo tra le novità della riforma costituzionale voluta dalla Boschi c’è una nuova revisione del Titolo V della Costituzione. Come vedremo in seguito una delle misure principali riguarda il ritorno allo Stato di competenze fondamentali, come quelle dell’energia e delle infrastrutture. La riforma Boschi, quindi, centralizza nuovamente alcune delle competenze dello Stato che con la revisione del 2001 erano state delegate alle Regioni.



L’articolo 31 del testo della riforma costituzionale modifica l’articolo 117 del Titolo V della Costituzione determinando un aumento delle materie di esclusiva competenza dello Stato.

In questo articolo vengono individuate alcune materie di competenza regionale, e segna la fine della legislazione concorrente tra Stato e Regioni. In più viene introdotta la clausola di supremazia che permette alla legge dello Stato di intervenire in materie riservate alla competenza legislativa delle Regioni nel caso in cui il Governo ne rilevi l’interesse nazionale.

Nel dettaglio, lo Stato avrà legislazione esclusiva sulle seguenti materie:

  • politica estera;
  • immigrazione;
  • rapporti tra Repubblica e confessioni religiose;
  • sicurezza dello Stato e Forze Armate;
  • sistema tributario e contabile dello Stato e mercati finanziari;
  • organi dello Stato e leggi elettorali;
  • organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
  • ordine pubblico e sicurezza;
  • cittadinanza;
  • giurisdizioni e norme processuali;
  • determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
  • istruzione;
  • previdenza sociale;
  • ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane;
  • protezione dei confini nazionali;
  • pesi, misure e determinazione del tempo;
  • tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici;
  • professioni;
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;
  • infrastrutture.

Alle Regioni, invece, spetta la potestà legislativa in materia di:

  • rappresentanza delle minoranze linguistiche;
  • organizzazione dei servizi sanitari e sociali;
  • promozione dello sviluppo economico locale;
  • promozione del diritto allo studio;
  • valorizzazione e organizzazione regionale del turismo.

Come possiamo vedere con la riforma costituzionale ci sarà una profonda riduzione delle materie su cui le Regioni possono legiferare. Inoltre, visti i problemi in materia finanziaria derivanti dalla revisione del 2001 del Titolo V, l’autonomia concessa alle Regioni dallo Stato sulle materie “residuali” (come l’organizzazione della giustizia di pace o il turismo) sono sottoposte alla condizione per cui la Regione abbia un bilancio in equilibrio tra entrate ed uscite. Sarà comunque il Senato ad assolvere il compito di rappresentare le istanze territoriali a livello nazionale e soprattutto a fungere da raccordo tra enti locali ed organi centrali, motivo per cui le Province vennero effettivamente istituite.





·         Ivano Agrusti

·         Antonello Sisto