sabato 3 dicembre 2016

Facciamo chiarezza sulle riforme costituzionali



Ormai ci siamo, il referendum costituzionale del 4 dicembre è alle porte, e gli italiani sono chiamati alle urne: da una parte della scheda ci sarà il SI, che propone una riforma della Costituzione, mentre dall’altra ci sarà il NO, per respingere la riforma costituzionale proposta.

Analizziamo ora, attentamente,punto per punto, con l’obiettivo di fare chiarezza, il testo che gli italiani si ritroveranno davanti alle urne.                                                                                                                                    


Il primo punto è quello concernente il “superamento del bicameralismo paritario”. Innanzitutto per una miglior comprensione va chiarita quella che è la struttura del Parlamento italiano: questo è basato su due ‘camere’, la Camera dei Deputati ed il Senato, di pari livello e potere decisionale. Il superamento di questo sistema, appunto chiamato “bicameralismo paritario”, passerà da varie misure adottate nei confronti del Senato e dei senatori; infatti: il Senato NON potrà più votare la fiducia al governo, NON potrà più votare le leggi promosse dallo Stato e soprattutto diventerà la sede di discussione delle politiche locali italiane, in quanto i  nuovi senatori saranno sindaci e consiglieri regionali, opportunamente eletti nei consigli regionali (questi aspetti saranno meglio chiariti più in avanti nell’articolo, quando si parlerà della revisione del Titolo V della parte II della Costituzione).                                                                                                                            Ovviamente il SI con queste misure, dimostra la volontà di creare un Parlamento più snello e con più potere decisionale, che garantisca maggiore stabilità ai governi, affinchè possano governare con meno compromessi.

D’altro canto il NO resta a favore del sistema attuale, basato sul compromesso, che risulta tuttavia spesso cavilloso e controproducente all’azione stessa del governo (che, per inciso, non è MAI stato eletto direttamente dai cittadini. Anche nel nostro attuale ordinamento non è prevista l’elezione della compagine di governo).



I successivi punti di modifica proposti nel referendum, ossia “la riduzione del numero di parlamentari”, il “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” e la “soppressione del CNEL”, rientrano in un ampio progetto di abbattimento dei costi della politica, perseguito ovviamente dal SI.

Infatti, innanzitutto il processo di riduzione delle spese della politica passerà dalla riduzione del numero dei senatori, i quali saranno 100 e non più 315. Ma soprattutto (per quanto riguarda la voce ‘risparmio’) non riceveranno più gli oltre 14.000 € mensili previsti dallo stipendio da senatore, ma manterranno lo stipendio previsto dall’incarico già ricoperto (sindaco o consigliere regionale).   Il NO invece contrasta queste proposte di modifica, richiamandosi principalmente a due tesi:                   -al fatto che i senatori non saranno eletti direttamente dal popolo

-alla situazione delle immunità

Per quanto concerne il primo punto, va detto che questa tesi non è propriamente veritiera, perché i senatori sono comunque già stati eletti dal popolo nei rispettivi incarichi. Ciò legittima, di conseguenza, la rappresentanza verso i propri elettori.

Invece riguardo il discorso delle immunità parlamentari, va innanzitutto chiarito che le preoccupazioni del NO, sono rivolte al fatto che il Senato diventi un comodo ‘parcheggio’ per coloro che detengono processi a loro carico,non ricordandosi purtroppo che attualmente ci sono comunque individui su cui pendono accuse penali.



passiamo ora al più discusso e complesso punto della riforma: la modifica al Titolo V della Costituzione; soffermiamoci pertanto sulla struttura della nostra Costituzione. Questa è formata da 139 articoli e 18 disposizioni transitorie finali. I primi 12 articoli sono dedicati ai “Principi fondamentali della Repubblica”, mentre i restanti si dividono in due parti:

  • Diritti e Doveri dei cittadini”: divisa a sua volta in 4 Titoli (Rapporti Civili, Rapporti etico-sociali, Rapporti economici e Rapporti politici).
  • Ordinamento della Repubblica”: suddivisa in 6 Titoli (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Magistratura, Regioni, le Province, i Comuni, Garanzie Costituzionali).

Quindi, il Titolo V della Costituzione (composto dagli articoli che vanno dal 114 al 133) è quella parte che regola le autonomie delle Regioni e degli enti locali.

Il Titolo V è stato già revisionato nel 2001, sotto il Governo Amato, l’obiettivo della riforma era di riformare lo Stato in senso federalista. Per questo alle Regioni vennero affidate diverse competenze che fino ad allora erano riservate allo Stato.

Tuttavia, la riforma del Titolo V ha lasciato l’onore di far cassa allo Stato poiché non c’è stato un aumento dell’autonomia fiscale delle Regioni. Ciò ha creato non pochi problemi perché alle Regioni è stata data completa autonomia in materia di spesa su moltissime materie potendo decidere persino l’ammontare degli stipendi di consiglieri e degli assessori in carica.

Insomma, alle Regioni e agli enti locali è stata data la possibilità di aumentare le loro spese ma a pagare è comunque lo Stato che deve trovare i fondi necessari.

Pensate che negli anni che vanno dal 2000 al 2010 le Regioni hanno speso in totale 89 miliardi, il 74,6% in più di quanto fatto nel decennio precedente. Gli analisti concordano sul fatto che questa crescita è imputabile al nuovo ruolo istituzionale assunto dalle Regioni e dagli Enti Locali in seguito alla Riforma del Titolo V della Costituzione.

Per questo motivo tra le novità della riforma costituzionale voluta dalla Boschi c’è una nuova revisione del Titolo V della Costituzione. Come vedremo in seguito una delle misure principali riguarda il ritorno allo Stato di competenze fondamentali, come quelle dell’energia e delle infrastrutture. La riforma Boschi, quindi, centralizza nuovamente alcune delle competenze dello Stato che con la revisione del 2001 erano state delegate alle Regioni.



L’articolo 31 del testo della riforma costituzionale modifica l’articolo 117 del Titolo V della Costituzione determinando un aumento delle materie di esclusiva competenza dello Stato.

In questo articolo vengono individuate alcune materie di competenza regionale, e segna la fine della legislazione concorrente tra Stato e Regioni. In più viene introdotta la clausola di supremazia che permette alla legge dello Stato di intervenire in materie riservate alla competenza legislativa delle Regioni nel caso in cui il Governo ne rilevi l’interesse nazionale.

Nel dettaglio, lo Stato avrà legislazione esclusiva sulle seguenti materie:

  • politica estera;
  • immigrazione;
  • rapporti tra Repubblica e confessioni religiose;
  • sicurezza dello Stato e Forze Armate;
  • sistema tributario e contabile dello Stato e mercati finanziari;
  • organi dello Stato e leggi elettorali;
  • organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
  • ordine pubblico e sicurezza;
  • cittadinanza;
  • giurisdizioni e norme processuali;
  • determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
  • istruzione;
  • previdenza sociale;
  • ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane;
  • protezione dei confini nazionali;
  • pesi, misure e determinazione del tempo;
  • tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici;
  • professioni;
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;
  • infrastrutture.

Alle Regioni, invece, spetta la potestà legislativa in materia di:

  • rappresentanza delle minoranze linguistiche;
  • organizzazione dei servizi sanitari e sociali;
  • promozione dello sviluppo economico locale;
  • promozione del diritto allo studio;
  • valorizzazione e organizzazione regionale del turismo.

Come possiamo vedere con la riforma costituzionale ci sarà una profonda riduzione delle materie su cui le Regioni possono legiferare. Inoltre, visti i problemi in materia finanziaria derivanti dalla revisione del 2001 del Titolo V, l’autonomia concessa alle Regioni dallo Stato sulle materie “residuali” (come l’organizzazione della giustizia di pace o il turismo) sono sottoposte alla condizione per cui la Regione abbia un bilancio in equilibrio tra entrate ed uscite. Sarà comunque il Senato ad assolvere il compito di rappresentare le istanze territoriali a livello nazionale e soprattutto a fungere da raccordo tra enti locali ed organi centrali, motivo per cui le Province vennero effettivamente istituite.





·         Ivano Agrusti

·         Antonello Sisto

giovedì 1 dicembre 2016

Parliamone - sulle riforme costituzionali

Il 4 Dicembre, il giorno del referendum costituzionale, si avvicina. Questo appuntamento si configura come cruciale per il futuro e, inevitabilmente, anche per il presente. Numerose sono le perplessità, come anche dubbi, spesso espressi per partito preso, con un enorme filtro applicato alla coscienza che spesso non permette un’analisi limpida, completa ed esaustiva. 

Piuttosto apertamente mi sono schierato per il SI, partecipando a diversi confronti sostenendo le mie ragioni. Sicuramente l’elemento che più sorprende è la partecipazione della cittadinanza a questi dibattiti, rendendo le personalità chiamate a esporre le proprie ragioni di voto solo una parte degli attori in scena. Questo incontro di visioni – e, permettetemi, sono solo due visioni delle istituzioni e della politica che si incontrano – poteva essere motivo di grande confronto; poteva andare oltre le spicciole battaglie politiche; poteva essere un momento in cui togliere impedimenti tra politica e cittadini e, attorno ad un tavolo, sciogliere ogni dubbio e portare la cittadinanza alle urne  emarginando il fenomeno dell’astensionismo  per dare un voto cosciente, responsabile, che potesse prescindere da appartenenze partitiche. 

Sia chiaro: non si parla solo del fronte del NO. La prima critica sincera la pongo al fronte del SI che, esattamente come spesso accade dall’altra parte della barricataha tentato di spremere il dibattito, ridurlo a slogan, hashtag, frasi fatte e preconcetti che non aiuta nessuno, se non chi non è atto a ragionare. Il problema qui è comunicativo e di un approccio che non risponde alle domande poste dai cittadini. Si confonde la trasparenza con una comunicazione con il conta gocceSi studia il modo per raggiungere il maggior numero di persone, sfruttando i “meccanismi” dei social network, anche riducendo tutto ad appena 140 caratteri. Nulla di più sbagliato! 

Andando oltre questo tipo di comunicazione, mi vorrei soffermare sulle domande e sulle puntualizzazioni poste dai cittadini nei numerosi incontri a cui ho assistito o partecipato. 
Il primo punto da trattare, sicuramente il più corposo e interessante, riguarda il nuovo Senato della Repubblica. Molti i punti dolenti che stimolano un’ampia discussione. Uno di questi riguarda sicuramente la “riduzione degli spazi della democrazia: una delle retoriche di punta del fronte del NO che intende smontare la proposta di riforma del Senato in quanto non eleggibile direttamente dai cittadini. Questo è vero, ma non del tutto. L’elemento non può essere preso estrapolandolo dal contesto e analizzandolo a compartimento stagno. In tutto ciò che riguarda la Costituzione, dal momento stesso in cui le principali forze politiche ebbero l’onere di scriverla, è presente e va’ ricercato un punto di equilibrio. Non parlerei di riduzione dello spazio della democrazia, quanto piuttosto dell’allargamento del corpo elettorale: non esistono limiti di età per poter avere voce in capitolo nella formazione organica del Senato, come non esistono per essere eletti nel Senato della Repubblica, a patto che si sia ottenuta una carica elettiva nella propria regione. Questo apre a scenari politici nuovi che si affacciano, finalmente, al concetto – dai più dimenticato e bistrattato – della rappresentatività. Pongo ai lettori la stessa domanda che faccio a presenti e interlocutori durante un dibattito: “potete indicarmi un ventaglio di nomi di nostri rappresentati nell'attuale Senato che provengano dal nostro territorio, a prescindere dall'appartenenza partitica?”Il silenzio è tombale. Se potessi decidere – e qui lo dico e qui NON lo nego  boccerei persino i senatori sotto la bandiera del PD. Insomma, non sento di avere rappresentanti in quell'istituzione, ancor più se consideriamo che sia escluso dal corpo elettorale che ha eletto gli attuali senatori. Il fatto che con la riforma costituzionale i senatori provengano da enti regionali e locali è un punto a favore non da poco. Con essi abbiamo un rapporto più stretto, vicino, forse legato all'appartenenza partitica, ma che comunque rappresentano la maggioranza del corpo elettorale votanteIl concetto di rappresentatività politica, in tempi come questi, deve essere costantemente stimolato. Altrimenti, al contrario, saranno le spinte anti-politiche e spesso antidemocratiche ad avere sempre e comunque più presa di altre. 

Ed è proprio sulla classe dirigente regionale che si presentano altre rimostranze. Questa è definita “classe dirigente compromessa, facendo leva su stereotipi classici dell’antipolitica. Questo è l’esempio più evidente di divergenza di visione, in questo caso tra pessimisti e chi vuol guardare al futuro. 
Non si vuole ridurre il tutto in due semplici “classi” a confronto, ma nel momento in cui si guarda alle riforme costituzionali, che per propria natura sono proiettate al futuro più che al contingente, prendere come punto di riferimento l’attuale dirigenza – che definirla “compromessa” equivale a fare di tutta l’erba un fascio – è concettualmente sbagliato. Mi piace pensare che a fare i conti con il futuro delle nuove istituzioni sia una nuova classe dirigente che si approccia con un nuovo tipo di politica e rappresentatività; piace pensare che i nostri giovani, compresi quelli più scettici che abbiamo incontrato nelle scuole e nelle università non solo possano trovare una propria figura di rappresentanza ma possano essere protagonisti della scena politica. Il pessimismo in questo non aiuta di certo. Se si vuole parlare di democrazia – citata a più riprese, per lo più a sproposito  è allora inconcepibile rispondere nel merito spingendo l’uditorio ad allontanarsi ancora di più dalla partecipazione attiva. 

Avvicinandoci alla conclusione, mi esprimo con assoluta sincerità: in questo periodo di confronti penso che ognuno di noi abbia avuto la possibilità di migliorarsi. Mano a mano che ci si avvicinava all'incontro successivo e poi al 4 Dicembre, ognuno di noi ha consolidato le proprie ragioni – nel momento in cui a partecipare al dibattito siano stati dirigenti aperti al dialogo  e sempre più (e qui mi apro totalmente ai lettori) mi ha avvicinato nelle file del Partito a cui appartengo. Perché a prescindere da quelli che sono i pregiudizi dei lettori nei confronti della compagine di governo, tralasciando infelici dichiarazioni e una comunicazione a dir poco fallaceritrovo maggior veridicità da parte del fronte del SI che da quello del NO – pur senza fare di tutto l’erba un fascio – perché criticabile, più che per le retoriche presentate, per le più o meno velate bugie e per prese di posizioni prettamente politiche che ben poco si conciliano con il dibattito sulle riforme. E’ una scelta personale se non concedo spazio a tali bugie, preferendo cogliere il meglio del dibattito che ogni giorno affrontiamo. Nel momento in cui ci si chiude nei propri circoli per comprendere come combattere pessimismo e falsità, semplicemente abbiamo perso tutti; tra SI e NO, favorevoli contrari, dinanzi ad un dibattito teso a smontare luoghi comuni e oggettive falsità, non esistono vincitori. La preoccupazione più evidente è che delle scelte prese oggi, il più delle volte, ne comprenderemo l’errore solo in futuro. E a distanza di anni non ricorderemo più le appartenenze partitiche, lo scacchiere in campo, quello o quell'altro dirigente, ma il risultato referendario. Nel bene o nel male. 

Liberiamoci di tutti i filtri, di tutti i preconcetti, e andiamo tutti a votare. Con coscienza e responsabilità. 

Io voto SI. 

Daniele Amatulli 
Segretario GD Alberobello