domenica 31 gennaio 2016

Turchia: lo scomodo alleato dell’occidente


La Turchia - sulla carta - è una Repubblica parlamentare a maggioranza musulmana sunnita, componente della NATO dal 1956 ed aspirante membro UE. Nei fatti è uno Stato capace di aggredire le minoranze etniche entro i propri confini, riluttante a tutelare le diversità religiose e repressore della libertà d'opinione. Questo in politica interna.

In politica estera è anche peggio: crimini contro l'umanità e la  cultura in Cipro (con tanto di occupazione illegittima del territorio da più di 40 anni), partnership commerciali con sanguinari terroristi,  progetti di espansione nel fragile Medio oriente (Neo-ottomanismo) sostenuti dall’attuale presidente Erdogan, che in passato ha dichiarato la propria ammirazione per Hitler (“modello di presidenzialismo” cit.)
       Recep Tayyip Erdogan, presidente turco accusato di connivenza con l’Isis, repressione  della libertà di stampa ed al centro di vari equivoci internazionali.








Per completare il quadro occorre sottolineare l’approssimativa gestione dei flussi migratori di siriani - sbolognati senza patemi in Italia e Grecia - ed il lassez-faire al viavai di terroristi verso l'Europa. Sulla Turchia inoltre pesa la 'negazione di stato' del genocidio di armeni e greci (circa 2 milioni di vittime), il grave crimine sul quale gli stessi turchi hanno fondato il loro stato. Basta questo elenco per far sorgere spontanea qualche domanda: è legittimo che questo paese aspiri ad entrare nell'UE ed è giusto che gli venga preservata una posizione nella NATO?

Ivano Agrusti

domenica 24 gennaio 2016

Chiamati a decidere – Riforme Costituzionali

Nell’autunno del 2016 ci sarà il referendum costituzionale. Non è necessario, in questo contesto, convincere i lettori a votare SI o NO alle riforme costituzionali. L’obiettivo di questo articolo è quello di rendere tutti consapevoli dell’importanza della propria scelta. Queste rappresentano un forte cambiamento all’assetto del paese, alleggerendolo, rendendolo più semplice, o almeno questi sono gli obiettivi del Governo.
Proprio riprendendo la voce della semplicità, il primo tassello da analizzare è quello dell’abrogazione definitiva delle province. Dopo un primo tentativo, iniziato già con il Governo Monti e terminato con il Governo Renzi, che non prevedeva una totale eliminazione delle province, queste divennero, a partire dal 1 gennaio 2015, enti di secondo livello per i quali non ci sarebbero state elezioni dirette né per i presidenti né per le assemblee provinciali. Le province diventano assemblee formate dai sindaci della provincia e da un presidente, eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni, e da un organo chiamato Consiglio Provinciale, composto da presidente della provincia e da un gruppo di 10-16 membri in base al numero di cittadini della provincia. Sia i presidenti che i componenti dell’assemblea e del Consiglio non vengono retribuiti, lavorando a titolo gratuito.
Con la riforma costituzionale, le province vengono cancellate dalla Costituzione, abrogandole definitivamente.
Ad essere eliminate non sono solo le province. Troviamo anche il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) organo costituzionale previsto dall’art.99 della Carta e introdotto ufficialmente con la legge numero 33 del 5 gennaio 1957. E’ un organo consultivo del Governo, delle Camere e delle Regioni, che esprime pareri non vincolanti su questioni di carattere economico e sociale. Può promuovere iniziative legislative solo su richiesta del Governo, delle Camere o della Regione. E’ considerato, guardando anche alle sue funzioni, inadatto ai tempi e dispendioso in termini economici, tanto da essere  finito nel mirino del commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli (ruolo ricoperto durante il Governo Letta, poi assegnato al Fondo Monetario Internazionale con il Governo Renzi).
Queste rappresentano le modifiche meno incisive. La riforma del Senato modifica il sistema politico italiano, stabilendo il superamento del bicameralismo perfetto (poteri identici ad ambedue le camere).
Con la riforma del senato il numero di senatori passa da 315 a 100, di cui 74 consiglieri, 21 sindaci e 5 senatori eletti dal Presidente della Repubblica.
I senatori verranno eletti non con le elezioni politiche, ma durante le elezioni regionali (tra consiglieri e sindaci) per una rappresentatività territoriale. Per altro sono gli stessi cittadini che indicano quali consiglieri regionali e sindaci rendere anche senatori, grazie ad una proposta della minoranza Dem chiamata Voto Popolare.
Il Senato non potrà togliere la fiducia al Governo, ora prerogativa del solo Camera. Può richiedere modifiche delle leggi ordinarie (anche questa prerogativa della Camera), su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti, ma con tempistiche strettissime dovendo presentare un emendamento entro 30 giorni. Tale emendamento ritorna alla Camera che la valuta entro 20 giorni. Maggiori poteri sono affidati al Senato per provvedimenti regionali, di enti locali e amministrazioni pubbliche.
Gli effetti immediati sarebbero una maggior rappresentatività dei senatori dal punto di vista regionale, con un impegno costante nei confronti del territorio di provenienza. Oltre tutto, evitando il “ping pong” di una legge da una camera all’altra, l’iter per l’approvazione sarà più rapido. A questo aggiungiamo che i provvedimenti del Governo dovranno essere messi in votazione entro 70 giorni. Questi sono punti fondamentali: se attualmente è difficile riuscire ad individuare i nostri rappresentanti al Senato, a prescindere dal colore politico, con questa riforma dovranno lavorare per il territorio e con il territorio per compiere il loro ruolo. Un elemento imprescindibile di evoluzione politica, di rappresentanza e partecipazione dei cittadini.
Per quanto riguarda ancora la partecipazione popolare, viene Introdotto un quorum minore per i referendum sui quali sono state raccolte 800.000 firme anziché 500.000: per renderlo valido basterà la metà degli elettori delle ultime elezioni politiche, anziché la metà degli iscritti alle liste elettorali. Mentre le leggi di iniziativa popolare salgono da 50.000 a 150.000 le firme necessarie per presentare un ddl di iniziativa popolare.
Aumentano anche i poteri della Corte Costituzionale, che potrà intervenire (su richiesta di un terzo della Camera) con un giudizio su di una legge che regola l’elezione di Camera e Senato, in particolare per rispondere alla necessità di non emanare una legge elettorale per poi scoprire essere incostituzionale (forti dell’esperienza del Porcellum o Legge Calderoli; legge elettorale voluta dal Governo Berlusconi nel 2005, poi parzialmente annullato da una sentenza del 2014 della Corte costituzionale che dichiarò l’illegittimità costituzionale di alcune norme). Dei 15 giudici Costituzionali, 3 saranno eletti dalla Camera, 2 dal Senato.
Il Presidente della Repubblica verrà eletto da deputati e senatori. Per i primi tre scrutini occorrono i due terzi dei componenti, dal quarto si scende ai tre quinti, dal settimo sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
Queste riforme rappresentano un forte cambiamento per il paese. Da una maggiore rappresentatività del Senato (sfido chiunque ad elencarmi i tanti senatori eletti nella Regione Puglia che attualmente rappresenti ognuno di noi), che sarà più vicini al proprio territorio, sino all’eliminazione di ciò che rappresenta un dispendio di soldi pubblici. Il cambiamento è necessario; le riforme si adattano a quelli che sono le lezioni imparate dal passato, ma soprattutto risponde alla necessità di velocizzare l’iter affinché questo paese cambi, a prescindere da qualunque partito o movimento lo guidi.

-D.Amatulli


mercoledì 13 gennaio 2016

Le responsabilità di un'amministrazione - Ex Mercato Coperto

21 dicembre. Sequestro dell’area ex Mercato Coperto. Se sino al giorno del sequestro l’amministrazione ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di ascoltare le opinioni contrarie, solo successivamente, con grande e sincero stupore, sono riusciti ad abbassare ancor di più l’asticella della dibattito democratico. Si è deciso a questo punto che lo scambio d’opinione si dovesse letteralmente mettere da parte. Lo scherno e persino l’utilizzo della paura sarebbero stati i nuovi strumenti di comunicazione.

La paura. Dover in qualche modo incutere timore in chi legge o ascolta, millantando querele e richieste di risarcimenti ai responsabili.

E chi sono i responsabili? I cittadini che non erano d’accordo con il progetto?

E quale sarebbe la loro colpa? Non aver preferito la strada dell'omertà, decidendo di mettere in luce ad ogni costo tutti quei vizi – amministrativi e tecnici – che sono divenuti lampanti grazie ad un lavoro di gruppo, con le conoscenze di ogni natura e tramite partecipazione e discussione democratica.

Non ci sono stati sabotaggi, anzi i lavori in cantiere sono andati piuttosto veloce, nonostante tutto.
Studiando tutti i vizi si è deciso di esporli agli organi competenti.

Dopo i tanti atti pubblici ricevuti dall'amministrazione e la denuncia di un privato cittadino, si è giunti al sequestro dell’area dell’ex mercato coperto. Questo procedimento non avviene per poter avere il tempo di rileggere le carte, come qualcuno paventava, ma perché il PM dopo un’analisi dei fatti ha constatato una ipotesi di reato, che sarà poi giudicato nelle aule preposte. Questo non è un atto dovuto: dopo una denuncia, non avviene l’immediato avviso di garanzia. Solo dopo aver letto le carte e se il PM ravvisa che ci sia un reato, allora si apre un procedimento penale, come in questo caso.

Più volte si è richiesto di fare un passo indietro, almeno finché era possibile farlo. Ma la volontà prettamente politica ha preso il sopravvento: il progetta doveva essere compiuto.
L’errore principale, quello probabilmente più importante, fu proprio questo: non tornare indietro; non constatare l’effettivo rischio che comportava andare avanti.

Piuttosto si è preferito mostrarsi in pubblico e affermare, con assoluta sicurezza, che il progetto si sarebbe concluso (pensate, avrebbero invitato anche noi per l’inaugurazione. Aspettiamo ancora); il Sindaco affermò persino che la responsabilità sarebbero state sue, tanto ci credeva in questo progetto.
Ma non ha tenuto la parola data: proprio ora che sarebbe stato necessario, per l’appunto, un’umile chiarimento per rispondere delle proprie responsabilità, si decide  arbitrariamente che i responsabili sono altri.

Seppur la scelta amministrativa e politica di continuare ad ogni costo rappresenti di per se una responsabilità, ora i responsabili non sono più i nostri amministratori, colpevoli di errori tecnici e progettuali, ma i cittadini che hanno avuto la forza di mettere sotto gli occhi di tutti quegli errori che hanno poi portato al sequestro dell’area.

A questo punto riteniamo inutile un ulteriore appello per richiamare gli amministratori alla ragione. Crediamo sia giusto piuttosto chiedere ai cittadini di non cadere nella mera provocazione e che, soprattutto, non si debbono difendere da alcuna accusa, non avendo né colpe né responsabilità.

Le colpe e le responsabilità sono dei nostri amministratori che hanno proseguito sulla propria strada non ascoltando altre ragioni se non le proprie. Nonostante tutto.

lunedì 11 gennaio 2016

Questa Europa da due pesi e due misure

“Non raccontateci che state donando il sangue all’UE”. Le parole di Matteo Renzi nei confronti della Cancelliera Angela Merkel sono precise, trasparenti e quanto mai vicine a quello che è il pensiero di un gran numero di italiani ed europei.
L’idea che muove la Germania è di per sé sbagliata: pensare che il bene della Germania sia anche il bene dell’Europa demolisce il fondamento di unità che ha portato alla nascita della stessa Unione Europea. L’Unione Europea è composta da Stati con problemi – che siano essi politici, economici o sociali – che li caratterizzano. Immaginare un’Europa come un unico blocco di paesi con gli stessi sintomi a cui viene proposta la stessa diagnosi, non può che portare ad un’Europa divisa nelle condizioni economiche e quindi ad un’Europa con due pesi e due misure.
“Senza entrare nel merito delle motivazioni politiche del rinnovo, sulle sanzioni alla Russia ci limitiamo a constatare i risvolti economici che dimostrano come si tratti di un colpo a salve per l’Europa e gli USA, con la beffa che il Paese a essere maggiormente penalizzato è proprio l’Italia”. Queste sono le parole del presidente dell’Unione interparlamentare Italia-Russia, Alessandro Pagano. Questo è solo un esempio di una Europa da due pesi e due misure.
Durante il 2015, le esportazioni del Made in Italy crescono soprattutto verso i paesi del sud-est asiatico, in cui i prodotti italiani non vengono colpiti dal rallentamento dei mercati emergenti.
Se la produzione tessile, dell’abbigliamento, della pelletteria, ma anche della metallurgia e della meccanica strumentale rappresentano una grossa fetta dell’esportazione italiana, Il settore trainante è quello agroalimentare che registra una crescita del 40%.
A questi ottimi risultati bisogno aggiungere un dato fortemente negativo per effetto dall’embargo alla Russia: l’esportazione in Russia è calata del 25,9%. Per altro l’embargo colpisce principalmente prodotti alimentari e tessili. Insomma, i settori trainanti dell’esportazione italiana.
A questo bisogna aggiungere che, come nei mercati asiatici, in Russia il Made in Italy è molto richiesto a tal punto da abbattere l’Italian Sounding (le imitazioni, per intenderci). Con questo embargo le industrie locali in Russia recuperano quote di mercato rischiando di rosicare totalmente i profitti dell’esportazione italiana.
A questo punto ci si chiede se l’embargo sia funzionale più a punire la Russia o i paesi dell’Europa stessa. Ci si dovrebbe chiedere, più di ogni altra cosa, se la decisione dell’embargo alla Russia sia stata presa prendendo in considerazione gli effetti negativi sui mercati di tutti gli Stati membri. È da queste scelte che si evince che manca unione di intenti nelle scelte di questa Europa.

-D.Amatulli

giovedì 7 gennaio 2016

SULLA QUESTIONE MERIDIONALE


(i.a.) Questione meridionale: soltanto due parole rimandano ormai ad un paranoico tema vecchio quanto lo Stato italiano, dall’unificazione ad oggi. Paranoico perché rimasto irrisolto, nessun governo italiano dal 1863 ad oggi (fra monarchico, fascista e repubblicano) si è dimostrato capace di tracciare un piano che prevedesse un riequilibrio amministrativo e socio-economico tra Nord e Sud. 
Nessuno statista al potere è mai stato consapevole che la creazione di un’Italia forte passa da una parificazione tra le due parti. Neppure l’attuale premier pare esserlo: occorre affrontare questa grave crisi economica che paralizza l’Italia intera da tempo. Chiunque ha sempre avuto altre priorità da anteporre all’incancrenita ‘questione’ di una terra sempre più marginale ed estranea ad ogni dinamica politica nazionale o internazionale: basti pensare al taglio dei co-finanziamenti europei per i progetti nel Mezzogiorno. Un altro duro colpo.
Si tende spesso a criticare il predominio della Germania nello scacchiere europeo, ma non si contempla il fatto che la rinascita dello stato tedesco è passata da una parificazione tra Ovest ed Est. I tedeschi avevano compreso la necessità di far ‘ripartire’ (termine oltremodo abusato dal nostro Renzi) l’Est per il bene della Germania, e si erano adoperati per farlo nel miglior modo e nel minor tempo possibile. Riuscendoci. In Italia si è stati sempre in altre faccende affaccendati, ignorando le necessità del Meridione. Ad esempio i fondi stanziati per la Germania Est non sono stati dirottati per alimentare il clientelarismo (piaga secolare dell'Italia meridionale), né sono stati dirottati alle organizzazioni criminali locali (mafie). Questo spiega perché i tedeschi sono riusciti a risollevare l'economia della Germania dell'Est in pochi decenni, mentre in Italia non è bastato un secolo e mezzo per risolvere l’intricata questione meridionale.
 Una delle maggiori responsabilità del governo italiano è stata sin dalle origini, quella di non aver mai represso con fermezza questi fenomeni di corruzione e parassitarismo, lasciandoli degenerare.  Ed ora il paese intero ne risente.       Per porre fine a questi fenomeni, occorre creare un cortocircuito nel fallace sistema di interessi e nella diffusa mentalità di rendita che si è venuta a creare: ciò è possibile soltanto con una migliore gestione della partecipazione nella cosa pubblica, accompagnata da un severo controllo dall’alto degli amministratori (onde prevenire infiltrazioni illecite). Infatti scriveva l’illustre Gramsci ne I Quaderni: “Il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali”.
Un simile risvolto della questione porterebbe innumerevoli fattori di progresso e crescita, anche nell’interesse delle genti del Nord, ed innescherebbe la fine di tanti fenomeni che imperversano nel paese.
Chiudiamo con le parole di Pino Aprile: “Credo che non ci sia terra, oggi, in Europa, che abbia maggior futuro e miglior fortuna da dispiegare, de lnostro Sud”.

Ivano Agrusti 

sabato 2 gennaio 2016

Francia e Terrorismo: modifiche costituzionali


PARIGI. 13 NOVEMBRE. Un avvenimento ha scosso l'umanità: attacchi terroristici hanno portato a 130 morti e centinaia di feriti.
16 NOVEMBRE. Il presidente Hollande, alla presenza di tutto il Parlamento, ha affermato la necessità di modificare la Costituzione per adattarla alla minaccia incombente, sempre e comunque nel pieno rispetto delle libertà pubbliche.
Gli articoli da modificare sarebbero:
·         Art.16: Quando le istituzioni della Repubblica, l'indipendenza della Nazione, l'integrità del territorio o l'esecuzione degli impegni internazionali sono minacciati in maniera grave ed immediata e il regolare funzionamento dei poteri pubblici costituzionali è interrotto, il Presidente della Repubblica adotta le misure richieste da tali circostanze, sentiti il Primo Ministro, i Presidenti delle assemblee ed il Presidente del Consiglio Costituzionale. 

Egli ne informa la Nazione mediante un messaggio. I provvedimenti devono essere ispirati alla volontà di assicurare ai poteri pubblici costituzionali, nel minor tempo possibile, i mezzi necessari per provvedere ai loro compiti.
II Consiglio Costituzionale è consultato in materia. Il Parlamento si riunisce di diritto. L'Assemblea Nazionale non può essere sciolta durante l'esercizio dei poteri eccezionali.”

·         Art. 36: “Lo stato d'assedio è decretato in Consiglio dei ministri. 
Non può essere prorogato oltre 12 giorni senza autorizzazione del Parlamento.

In parole povere: l’Art. 16 attribuisce al Presidente poteri eccezionali, allorché un grave avvenimento metta a repentaglio il corretto funzionamento delle istituzioni della Repubblica. Venne attuato solo una volta in Francia, quando il Presidente Charles De Gaulle, a causa della sommossa dei Generali durante la guerra di Algeria, prese i pieni poteri.
L’Art. 36 regola invece lo “stato d’assedio”: si può passare dalla temporanea sospensione delle leggi di garanzia o della Costituzione di uno Stato, sino all'assunzione dei poteri civili da parte dell'autorità militare. Per fare un esempio a noi vicino, il presidente del Consiglio dei Ministri Luigi Facta propose lo stato d’assedio al re Vittorio Emanuele III per fermare la “marcia su Roma” fascista, senza però ottenere la firma del sovrano.
Si comprendono così le affermazioni del Presidente Hollande che considera entrambi gli articoli inadatti alla situazione attuale, sia perché le istituzioni pubbliche ed il loro funzionamento non sono state messe a repentaglio, ma anche perché non è immaginabile trasferire poteri all’autorità militare. Eppure, se non si parla di un vero e proprio conflitto, è vero anche che siamo testimoni di “terrorismo di guerra” - così come lo chiama lo stesso Hollande.
Il comitato di Balladur (costituito da Nicolas Sarkozy con l’obiettivo di rendere più democratica la Costituzione e la Quinta Repubblica) già nel 2007, propose di affiancare allo stato d’assedio lo stato d’emergenza. Lo stesso stato d’emergenza, in cui si trova la Francia dal 13 novembre, non è presente nella Costituzione, ma nasce da una legge del 1955; si attua tramite decreto del Consiglio dei Ministri ed entra in vigore non oltre 12 giorni tramite una legge.
Lo stato d’emergenza rappresenta una limitazione delle libertà personali. Si applica in caso di effettiva minaccia della Nazione, può limitare, ad esempio, la libertà di movimento o addirittura la libertà di stampa.
Lo stesso Hollande vorrebbe, quindi, “poter disporre di uno strumento appropriato per applicare misure eccezionali per una certa durata senza passare dallo stato d’assedio e senza rinnegare le libertà pubbliche”.
Questo è il punto: allo svecchiamento della Costituzione, che può adattarsi ai pericoli quali dovremo affrontare in questi anni, si contrappone la necessità di non ledere le libertà e i diritti personali di ogni cittadino francese.
Analizzare questa situazione considerandola un problema solo francese, è riduttivo: ogni Stato europeo, a pari condizioni, non può affrontare l'emergenza allo stesso modo, guardando agli avvenimenti e ai cambiamenti che stanno avvenendo in Francia come a un precedente.
È altresì appropriato considerare questa volontà al cambiamento molto coraggiosa, perché si vuole modificare la Costituzione. Ma si conoscono perfettamente anche i pericoli: andando a modificare gli articoli 16 e 36, si rischia di ottenere l’effetto inverso rispetto a quello sperato (ossia combattere la minaccia, salvaguardando le libertà pubbliche): questo infatti dipende fondamentalmente dalla volontà politica di ogni singolo Stato.
Si rischia di cadere nella solita domanda “il fine giustifica i mezzi?”. Se non si cerca un’alternativa costituzionale alla limitazione delle libertà pubbliche, ma si utilizzassero gli strumenti attualmente presenti nella Costituzione con l’unico fine di sconfiggere la minaccia terroristica, quali potrebbero essere i risultati? Probabilmente un popolo vincitore sul campo di battaglia, ma vinto dal punto di vista delle libertà; un popolo sicuro, sì, ma solo perché dopo un certo orario è vietato uscire di casa per il coprifuoco; un popolo consapevole di aver sconfitto la minaccia, ma inconsapevolmente disinformato su ciò che accade attorno a sé a causa dei giornali la cui libertà di espressione dipende dalla discrezionalità del Governo.
Gli ultimi avvenimenti impongono un cambiamento, ma le strade principali sono due: salvaguardare democrazia, libertà e diritti (consapevoli che queste non possano provenire dall’alto, in particolare da chi governa) e sconfiggere la minaccia terroristica per la sicurezza dei cittadini, oppure piegarci al livello del nostro “nemico”, cancellando le conquiste democratiche fatte in secoli di storia, gridando a gran voce la sconfitta del terrorismo, senza sapere di essere già stati sconfitti.

-D.Amatulli