Nell’autunno del 2016 ci sarà il referendum costituzionale. Non è necessario, in questo contesto,
convincere i lettori a votare SI o NO alle riforme costituzionali. L’obiettivo di questo articolo è quello di
rendere tutti consapevoli dell’importanza della propria scelta. Queste
rappresentano un forte cambiamento all’assetto del paese, alleggerendolo,
rendendolo più semplice, o almeno questi sono gli obiettivi del Governo.
Proprio
riprendendo la voce della semplicità, il primo tassello da analizzare è quello dell’abrogazione definitiva delle
province. Dopo un primo tentativo, iniziato già con il Governo Monti e terminato con il Governo Renzi, che non prevedeva una
totale eliminazione delle province, queste divennero, a partire dal 1 gennaio 2015, enti di secondo livello per i quali non ci sarebbero state elezioni
dirette né per i presidenti né per le assemblee provinciali. Le province diventano
assemblee formate dai sindaci della
provincia e da un presidente, eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni,
e da un organo chiamato Consiglio
Provinciale, composto da presidente della provincia e da un gruppo di 10-16
membri in base al numero di cittadini della provincia. Sia i presidenti che i
componenti dell’assemblea e del Consiglio non vengono retribuiti, lavorando a
titolo gratuito.
Con la riforma costituzionale, le
province vengono cancellate dalla Costituzione, abrogandole definitivamente.
Ad essere
eliminate non sono solo le province. Troviamo anche il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) organo costituzionale
previsto dall’art.99 della Carta e
introdotto ufficialmente con la legge numero 33 del 5 gennaio 1957. E’ un organo consultivo del Governo, delle Camere e
delle Regioni, che esprime pareri non vincolanti su questioni di
carattere economico e sociale. Può promuovere iniziative legislative solo su richiesta del Governo, delle
Camere o della Regione. E’ considerato, guardando anche alle sue funzioni, inadatto
ai tempi e dispendioso in termini economici, tanto da essere finito nel mirino del commissario alla Spending
Review, Carlo Cottarelli (ruolo ricoperto durante il Governo Letta, poi assegnato al Fondo
Monetario Internazionale con il Governo
Renzi).
Queste
rappresentano le modifiche meno incisive. La
riforma del Senato modifica il sistema politico italiano, stabilendo il
superamento del bicameralismo perfetto
(poteri identici ad ambedue le camere).
Con la riforma del senato il numero di
senatori passa da 315 a 100, di cui 74 consiglieri, 21 sindaci e 5 senatori
eletti dal Presidente della Repubblica.
I senatori
verranno eletti non con le elezioni politiche, ma durante le elezioni regionali
(tra consiglieri e sindaci) per una rappresentatività territoriale. Per altro
sono gli stessi cittadini che indicano quali consiglieri regionali e sindaci
rendere anche senatori, grazie ad una proposta della minoranza Dem chiamata Voto Popolare.
Il Senato non potrà togliere la fiducia al
Governo, ora prerogativa del solo Camera. Può richiedere modifiche
delle leggi ordinarie (anche questa prerogativa della Camera), su richiesta
di almeno un terzo dei suoi componenti, ma con tempistiche
strettissime dovendo presentare un emendamento entro 30 giorni. Tale
emendamento ritorna alla Camera che la valuta entro 20 giorni. Maggiori poteri sono affidati al Senato per
provvedimenti regionali, di enti locali e amministrazioni pubbliche.
Gli
effetti immediati sarebbero una maggior
rappresentatività dei senatori dal punto di vista regionale, con un impegno
costante nei confronti del territorio di provenienza. Oltre tutto, evitando il “ping pong” di una legge da una
camera all’altra, l’iter per l’approvazione sarà più rapido. A questo
aggiungiamo che i provvedimenti del Governo dovranno essere messi in votazione
entro 70 giorni. Questi sono punti fondamentali: se attualmente è difficile
riuscire ad individuare i nostri rappresentanti al Senato, a prescindere dal
colore politico, con questa riforma dovranno lavorare per il territorio e con
il territorio per compiere il loro ruolo. Un elemento imprescindibile di
evoluzione politica, di rappresentanza e partecipazione dei cittadini.
Per quanto
riguarda ancora la partecipazione popolare, viene Introdotto un quorum minore per i referendum sui
quali sono state raccolte 800.000 firme anziché 500.000: per renderlo valido
basterà la metà degli elettori delle
ultime elezioni politiche, anziché la metà degli iscritti alle liste
elettorali. Mentre le leggi di iniziativa popolare salgono da 50.000 a 150.000
le firme necessarie per presentare un ddl di iniziativa popolare.
Aumentano
anche i poteri della Corte
Costituzionale, che potrà intervenire (su richiesta di un terzo della
Camera) con un giudizio su di una legge che regola l’elezione di Camera e
Senato, in particolare per rispondere alla necessità di non emanare una legge
elettorale per poi scoprire essere incostituzionale (forti dell’esperienza del Porcellum
o Legge Calderoli; legge elettorale voluta dal Governo Berlusconi nel 2005, poi parzialmente annullato da una
sentenza del 2014 della Corte costituzionale che dichiarò
l’illegittimità costituzionale di alcune norme). Dei 15 giudici Costituzionali,
3 saranno eletti dalla Camera, 2 dal Senato.
Il Presidente della Repubblica verrà
eletto da deputati e senatori. Per i primi tre scrutini occorrono i due terzi
dei componenti, dal quarto si scende ai tre quinti, dal settimo sarà
sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
Queste
riforme rappresentano un forte cambiamento per il paese. Da una maggiore
rappresentatività del Senato (sfido chiunque ad elencarmi i tanti senatori
eletti nella Regione Puglia che attualmente rappresenti ognuno di noi), che
sarà più vicini al proprio territorio, sino all’eliminazione di ciò che rappresenta
un dispendio di soldi pubblici. Il cambiamento è necessario; le riforme si
adattano a quelli che sono le lezioni imparate dal passato, ma soprattutto
risponde alla necessità di velocizzare l’iter affinché questo paese cambi, a
prescindere da qualunque partito o movimento lo guidi.
-D.Amatulli
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